L’ondata di profughi a cui l’Europa sta facendo fronte negli ultimi anni, conseguente a esodi di massa da zone del Globo vessate da conflitti insolubili (Siria, Palestina, Corno d’Africa) e al crollo delle barriere protettive esercitate dagli Stati dell’Africa Settentrionale, destabilizzati da un vuoto di potere interno e da profonde contraddizioni sociali (post Primavera Araba), hanno reso molto vivido il concetto di Straniero Interno, ovvero di chi arrivando da terre lontane, da luoghi sconosciuti ed estranei alla portata mentale degli abitanti del Noi, ci chiede di essere accettato dalla nostra comunità e di farne parte, pur recando con sé i tratti di un’ineliminabile diversità.
Perché Straniero… Interno?
Il profugo, l’extracomunitario, l’immigrato sono figure che la sociologia politica definisce “stranieri interni”: queste figure non rappresentano l’alterità assoluta, che non si conosce e non ha legami con la nostra comunità (come lo erano i Barbari per i Romani, ad esempio), ma rappresentano un’estraneità con cui dobbiamo fare i conti, perché bussa ai nostri Confini e ci chiede di essere accolta, se non accettata perlomeno ospitata.
Lo Straniero Interno è un’Alterità all’interno di un Noi, un elemento di diversità che le nostre società, fragili e chiuse su se stesse, tollerano a malapena (e su cui viene proiettata ogni sorta di negatività).
Infatti, l’ambigua figura dello straniero interno mette in crisi la classica logica binaria della mentalità occidentale. Infatti, tale ossimoro (straniero/interno) contraddice i due più importanti postulati su cui essa si regge: il principio del Terzo escluso e quello di Non-contraddizione, portando alla luce una Terza Via, ibrida e pericolosa, che infrange la dialettica fra identità (Noi) e diversità (non-Noi).
Possiamo definirla come una commistione di vicinanza e lontananza, inclusione ed esclusione: un’impossibile sintesi fra identità e diversità, un incessante sforzo di abitare la contraddizione.
Come detto, lo Straniero Interno non è il Barbaro Assoluto, totalmente privo di legami con la nostra comunità e definito solo come opposizione totale dei nostri valori e della nostra cultura, secondo una tipica forma di Etnocentrismo. Egli viene in qualche modo a contatto con la nostra identità e “inserisce in tale spazio delle qualità che non ne derivano e non possono derivarne” (cit. G. Simmel, “Sociologia“).
Lo Straniero Interno in qualche modo porta nella costruzione artificiosa del Noi degli elementi di diversità che non sono mai completamente assimilati, rimanendo a una distanza intermedia fra accettazione e rifiuto. Arrivando da un “non-luogo”, egli giunge a contatto con la nostra esistenza e ci obbliga a dover rivedere le nostre convinzioni.
Straniero Interno e Identità
Tale descrizione dello Straniero Interno è emblematica di un’errata concezione dell’Identità. Infatti, il mito di una “rotonda Identità” sulla falsariga di una Verità Assoluta è stato definitivamente abbandonato dalla sociologia contemporanea.
Questo luogo comune riteneva che la nostra Identità si costruisse in opposizione a un’Alterità assoluta, percepita come speculare e antitetica.
In questa prospettiva, essa “è pensata come una tautologia, un manifestarsi evidente dell’Essere a se stesso: A = A e diverso da non-A” (vedi Tautologia della Paura).
Le teorie più illuminate della contemporaneità invece affermano che “l’Alterità è presente non solo ai margini, al di là dei confini, ma nel nocciolo stesso dell’Identità” (cit. F. Remotti, “Contro l’Identità“).
A questo riguardo gioca un ruolo fondamentale la nozione di Riconoscimento: l’Altro fonda il mio Io individuale o il Noi collettivo non in quanto mi è totalmente estraneo, ma in quanto è al tempo stesso e per alcuni aspetti identico a me e differente da me, cioè capace di riconoscermi.
La nostra Identità nasce non in opposizione a un’altra rivale e percepita come ostile, ma accogliendo al proprio interno le tracce di novità che derivano dalla nostra apertura verso l’Altro.
Una volta che siamo entrati in contatto con la differenza, la metabolizziamo e la incorporiamo dentro noi stessi al fine di arricchire la nostra personalità e di adeguarla alle imprevedibili condizioni di vita. Ciò che noi siamo non è un dato naturale e ovvio, ma è frutto di evoluzioni e continue mediazioni con l’ignoto.
“A sa di essere A solo in quanto contiene in se stesso l’Altro come differenza consapevole” (cit. E. Pozzi, “Lo Straniero Interno“).
Di conseguenza, possiamo affermare che lo status di Straniero Interno, lungi dall’essere un’infezione della nostra società, simboleggia proprio questa concezione dinamica dell’Identità.
Infatti, la sua Terza Via lo porta a farsi garante della necessaria negoziazione che intercorre tra due diverse Identità per riconoscersi a vicenda il proprio spazio personale.
In quanto ponte di mezzo fra simile e dissimile, egli diventa il punto sintetico che riassume in sé l’Identità simbolica di un gruppo, finendo così per trasformarsi da elemento marginale a essenza stessa della Comunità.
Lo Straniero Interno ci ricorda, infatti, la Differenza che ci separa e ci lega l’un l’altro e che rappresenta la ricchezza più preziosa del nostro stare insieme.
Stefano Airoldi
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