L’Ospitalità: Riflessioni di una Notte Insonne
L’altra notte non riuscivo a dormire e la mia mente si perse in un volo della fantasia. Immaginavo cosa sarei potuto diventare se fossi stato un abitante della Tunisia, del Senegal o della Somalia…
Be’, sono giunto alla conclusione che, superando mille difficoltà, stenti e ingiustizie, avrei fatto carte false per emigrare in Italia, anche e soprattutto da clandestino. Già mi vedevo questuante, intento a fare furbate per accattare un po’ di elemosina. A vivere di furtarelli, indifferenza e disprezzo. A solidarizzare con gli “arcipelaghi della miseria” delle metropoli del Nord.
Poi, la riflessione ha preso una piega un po’ più ampia, mi ha riportato nel mio paesello di campagna, Arconate, ma ha comunque sfondato le consuete pareti mentali dei se e dei però. Mi sono chiesto: ma cosa, in fin dei conti, differenzia un clandestino da me, abitante della parte sorridente del globo? Vi devo confessare che a questa domanda non sono riuscito ad addurre alcuna risposta sensata. A me piace il caffè, come a lui, forse. Mi piace respirare l’aria frizzantina del mattino, amo le donne; perché, lui no? Adoro bere una birra fresca al tramonto, fare un tuffo nel mare, leggere un bel romanzo, immergermi nella natura, in bicicletta o a piedi, fare fotografie, ridere con gli amici, ballare il mio pezzo preferito, canticchiare, prendermi cura dei miei genitori. Chi mi convince che lui non provi le mie stesse umane passioni? Per quale assurdo motivo io ho la possibilità di sognarle, approssimarmi ad esse e, nella migliore delle ipotesi, realizzarle, mentre per lui tutte queste cose sono assurdi miraggi, da allontanare immediatamente dalla propria considerazione per non soffrirne troppo?
Sono giunto, allora, alla conclusione (pur non essendo un “bigottone”, ho un’accesa spiritualità e sono molto cattolico…) che Dio, sebbene ci abbia creato uguali e fratelli, ha voluto in qualche modo che noi fossimo indirizzati su percorsi opposti, come rette incidenti che, unite in un qualche passato remoto e forse inconscio, hanno iniziato ad allontanarsi sempre di più, inesorabilmente. Un piano di sviluppo in apparenza inconciliabile con l’amore che un Padre dovrebbe nutrire nei confronti dei suoi figli. Un disegno che ci fa dubitare della giustizia del Creato. Eppure, ragionando un attimino, ho intravisto anche in questo momento, tra le nuvole del dubbio, un segno forte e duraturo della presenza ristoratrice di un Padre Creatore.
Dio, infatti, ha attribuito a Noi del Nord una grande responsabilità, ovvero la possibilità di salvare chi sta precipitando nel baratro, prima che diventi definitivamente irrecuperabile. Tocca a Noi, abitanti della parte sorridente del globo, dedicarci alla Cura dell’Altro, per diventare protagonisti del processo di deificazione del Creato e non semplici spettatori. Dio ha voluto e vuole definitivamente debellare la dicotomia tra il Noi e l’Altro e invita, implicitamente, all’aiuto reciproco, alla pratica del dono e della solidarietà, alla cooperazione del ricco con l’umile per alleviare il disagio materiale e dell’umile con il ricco per impedirne il degrado morale.
Dio, in poche parole, ha inventato un mondo in cui tutti hanno bisogno di tutti e solo attraverso l’interazione costante delle varie singolarità è possibile pervenire al senso profondo della vita e superare ogni sorta di difficoltà.
Proprio così pensai, quella notte.
Poi il sonno finalmente prese il sopravvento e al mio risveglio scordai le mie riflessioni notturne, risi dell’ingenuità a cui conduce la fede in un dio, qualunque esso sia, e continuai la mia vita egoistica di sempre, al riparo dai fastidiosi tarli della coscienza.
Stefano Airoldi
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